La grande strada di Lombardia

Lo storico Casale Mauro

Lo storico Casale Mauro

 

Settantatre anni, ma non li dimostra. Ci incontriamo sulla piazza della chiesa a Torriglia, il cuore del nostro piccolo borgo. Mi invita ad alzare gli occhi al cielo, in direzione del monte che spunta tra i tetti delle case e pare giocare a rimpiattino con i fili della corrente elettrica. Un’altura come tante in questo nostro tratto di Appennino. Sulla cima si scorge una struttura in pietra, un enorme serbatoio dell’acqua. Mi suggerisce di fotografare quel rilievo, cercando l’inquadratura migliore come quando si immortala un figlio o una persona a noi cara. E in quella richiesta rivela la propria passione. Quella passione e curiosità che da sempre lo animano e gli sono fedeli compagne da cinquant’anni, da quando Mauro Casale, Maurin per gli amici,  ha cominciato a interessarsi alla storia dei nostri monti e delle nostre vallate. Da allora, come lui stesso ama dire,  ha stratificato nella sua mente notizie su notizie. Ha ricercato, classificato, confrontato, fotografato documenti dove si parla della sua amata e nativa Torriglia. Ha affrontato viaggi in tutta Italia e all’estero, soprattutto lungo le rive del Mediterraneo che videro l’ascesi del dominio economico e politico genovese. Negli anni,  i frutti di quelle ricerche sono diventati articoli e pubblicazioni. Con il suo stile di scrivere, Mauro è riuscito a interessare il grande pubblico, a trasformare una lezione di storia in un’avventura culturale avvincente. Il suo modo volutamente non accademico di trasmettere le proprie conoscenze gli  ha consentito e consente tuttora di coinvolgere i bambini e i ragazzi della scuola dell’obbligo per spingerli a vedere il proprio luogo natio o di residenza con occhi nuovi e scoprire che in quelle strade e piazzette dove vivono e giocano hanno abitato e lasciato segni del proprio passaggio nobili, cavalieri,  mercanti, artigiani, umili contadini. Infine, in  un’ideale chiusura del cerchio, l’occasione che Casale aspettava da una vita: la possibilità di seguire  lo scavo, autorizzato dal Ministero con la collaborazione dell’Università di Genova, nello stesso luogo che vide la ricerca archeologica del Crosiglia nel lontano 1865;  quel Crosiglia che pubblicò nel 1900 la relazione dei suoi lavori e che decenni dopo ha rappresentato per Mauro la molla per la sua innata passione. Chiaro diventa ai miei occhi il suo interesse per quell’altura,conosciuta con il nome di Torriglia Vecchia (Torriggia Vegia), Bricchetto o Pian della Torre   che pare vegliare sul nostro paese e ai cui piedi si aggrappano le case della piccola frazione di Donetta.

Ci sediamo al sole su una delle panchine che delimitano il piazzale parrocchiale e faccio partire il registratore.  Mauro inizia a parlare, più che un dialogo è piuttosto un monologo, un monologo che fa ritornare in vita un quadro sepolto da più di settecento anni.

 Ascoltiamo il nostro mentore.

 Innanzi tutto  dobbiamo dire che su questo monte sono state trovate delle rovine importanti e si sono messe alla luce strutture databili dall’XI al XIV secolo. Sorge spontaneo chiedersi perché la vetta di quel monte posta a 1162 m s.l.m. sia stata oggetto di interesse da parte delle generazioni che ci hanno preceduto. Lassù in alto non è semplice vivere anche se si considera che nel medioevo il clima era differente, sicuramente più caldo di ora. Lassù si è costruito quella struttura con grande esborso di denaro, con grande fatica, e non per caso. Consideriamo che l’originale mulattiera,  conosciuta all’epoca come la grande strada di Lombardia e prima ancora Via Patrania, completamente pavimentata parte ancora oggi sopra la frazione di Donetta e raggiunge  quasi la vetta, nonostante siano passati  più di 700 anni.

Che cos’era la struttura che abbiamo trovato? Era qualcosa di simile a un albergo, una fortezza, un’osteria. Tutto questo messo assieme e a servizio della viabilità. Noi dobbiamo fare un salto di 700 anni, epoca  in cui in queste zone non c’erano ponti, anni in cui si andava per crinali diretti, non si scendeva nei fondovalle dove le alluvioni facilmente bloccavano, dove c’erano bestie feroci e possibilità di incontrare banditi. I crinali non solo erano più sicuri, ma permettevano il pascolo e nello stesso tempo facevano sentire i nostri progenitori più vicino a Dio. Questo aspetto era molto importante, perché l’uomo medioevale era permeato dell’idea di Dio. Non faceva un chilometro se prima non pregava, non si raccomandava l’anima o quanto meno non ricorreva a giaculatorie. Su quella strada passarono centinaia di migliaia di muli, carovane di muli carichi di merci di tutti i tipi. Erano colonne organizzate in carovane, non si avventuravano mai in due, tre persone, perché i pericoli erano notevolissimi. I banditi che vivevano di rapine erano frequentissimi. Il mulattiere doveva dotarsi sempre di cani e persone armate; ci si armava e si ricorreva a scorte armate. Quello era un punto di sosta dove pellegrini, mercanti, o chi voleva andare dal nord al sud o viceversa, quindi verso le coste del ponente ligure o a Genova o verso i mercati del Nord Europa, lì aveva la possibilità di fermarsi. Era una zona protetta, nel 1300 c’erano ancora due torri in stato perfetto di conservazione, un forno, una forgia, dei magazzini, una cisterna, la possibilità di dormire.  Tutto il monte era cinto da mura, quindi era veramente sicuro. Facilmente si andava lassù, la maggior parte alloggiava in tende sul prato sottostante, le merci preziose erano custodite nei magazzini. Nei giorni successivi si ripartiva verso i mercati del Nord. Il maniscalco  si occupava della ferratura dei muli e dei cavalli. Il forno garantiva il  pane caldo, alimento molto importante nel medioevo. Si può supporre la presenza di una scorta di persone appartenenti a ordini monastici suddivisi tra cavalieri e sergenti o serventi. Questi si occupavano dell’aspetto logistico (carico e scarico merci) e della difesa (armati con cavalcature). Le cavalcature erano di grande qualità, i cosiddetti destrieri. Bisogna pensare che un destriero costava più di una casa di abitazione. Chi aveva un  destriero, cioè un cavallo addestrato a tenere la destra, era un cavaliere. Noi abbiamo trovato degli speroni, di cui uno dorato,  indossati sicuramente da  persone di altissimo rango.  Un cavaliere, oltre al destriero, aveva uno scudiero. Immaginate tre, quattro cavalieri a scorta di mercanti e pellegrini.

Il passaggio dell’Antola rappresentava  il punto più pericoloso del cammino: intorno a quest’area si sono succedute persone che hanno vissuto e speculato su questo movimento di uomini e merci. L’assistenza alle carovane costituì in quel periodo la ragione principale di un enorme sviluppo economico e demografico.

 Come dicevo c’era un forno: abbiamo trovato delle strutture circolari, lì si cuocevano cereali, probabilmente grano o segale. Notevole la  presenza di resti di cibo rinvenuti: dalla loro tipologia abbiamo dedotto trattarsi di persone molto benestanti. Parliamo ad esempio di un ginocchio di vitello. Un ginocchio di vitello nel medioevo era un cibo da re, perché non si macellavano i vitelli, si macellavano al massimo i bovini (comunque costosi) quando avevano anni di sfruttamento, quindi alla fine della loro esistenza.

Sono venute alla luce monete dell’XI secolo, monete di Enrico II di Sassonia ed Enrico IV, monete di Genova anche in argento, abbiamo trovato una moneta di Firenze (un divisionale di un grosso del 1306) e altri divisionali, una piccola moneta che era una tessera mercantile utilizzata per il pagamento di merci da parte dei mercanti.

 Sono stati rinvenuti frammenti di una ceramica particolare: ceramica blu, ceramica verde, azzurra. Una tipologia di ceramica che all’epoca in Europa non esisteva. Le tecniche europee non avevano mai raggiunto le tecniche arabe che si erano sviluppate in Turchia e Terra Santa. L’importazione di ceramiche (soprattutto bacili) di quel tipo per i mercanti genovesi erano un’opportunità di enorme guadagno. I benestanti locali e quelli del Nord Europa pagavano cifre impressionanti per venirne in possesso.  I bacili erano anche murati nelle facciate delle chiese duecentesche di Genova o della nostra riviera a dimostrazione del loro valore per le persone di quel tempo. Averle trovate sotto un metro e mezzo di terra  su un monte sperduto dell’entroterra dà idea della tipologia di merci che girava lassù.

Questa struttura è finita molto probabilmente nella primissima metà del trecento, perché tracce successive non ne abbiamo trovato. E’ stata distrutta da un assedio, credo che 25-30 persone l’abbiano circondata, l’abbiano subissata di lanci di freccia di tutti i tipi: frecce di arco e di balestra di tutte le dimensioni e tutte le forme, soprattutto frecce incendiarie che hanno causato un incendio indomabile e furioso. Coloro che cercavano di difendersi o si sono arresi o sono stati uccisi. Se un giorno verranno ripresi nuovi scavi, potremo trovare anche resti umani, per ora abbiamo trovato solo qualche traccia. Tra i reperti centinaia di cuspidi di frecce. Possiamo dire che si oscurò il cielo per far finire questa struttura.

Sebbene non si sappia precisamente  chi portò l’attacco che distrusse il complesso di Donetta, sicuramente l’episodio va inquadrato nel periodo storico che contrappose le famiglie guelfe a quelle ghibelline. Torriglia in quel momento si poneva con i guelfi, i merli rettangolari del nostro castello, che ha convissuto per un certo periodo con la struttura di Donetta, lo dimostrano chiaramente. La famiglia dei Fieschi, legata alla chiesa, in quel momento comandava sia  a Genova che a Torriglia. Il capitano del popolo era Carlo Fieschi che dimorava  anche nel castello di Torriglia. Le famiglie guelfe Fieschi e Grimaldi erano opposte a quelle ghibelline degli Spinola e dei Doria. Le guerre erano ferocissime. I ghibellini chiesero aiuto  ai Visconti, signori di Milano. Potrebbe essere stata una lancia (formazione di 25 uomini) dei Visconti di Milano che provenendo dal milanese potrebbe aver attaccato e raso al suolo la struttura in possesso in quel momento del partito rivale. Certamente questo complesso difensivo-ospitaliero dava notevolmente fastidio, perché di lì passava tutto il traffico, si esigevano dei pedaggi che rendevano molti soldi. La struttura era retta da più famiglie feudali genovesi.

La fortezza fu incendiata e abbattuta a piccone. Posso affermarlo, perché soprattutto la torre più potente situata a ovest e di forma quadrata  (7X7 all’esterno e 3X3 all’interno, quindi con una muraglia di 1,75 di calce molto buona ancora oggi) non poteva crollare semplicemente. E’ stata volutamente distrutta ad arte quasi fino alle fondamenta.  E’ stata abbattuta in modo che non potesse più essere ricostruita. Dal punto di vista economico, non solo è costata la costruzione ma anche il suo abbattimento.  Intervennero poi altri due fattori molto importanti che concorsero alla rinuncia di una nuova ricostruzione: il clima era diventato più freddo, quindi quella strada perse molto della sua importanza, perché  intransitabile per lunghi mesi a causa del ghiaccio, e nella prima metà del ‘300 si assistette a un enorme calo demografico a causa della grande epidemia di peste nera che investì Genova e l’Italia. La terribile peste nera si diffuse dopo l’assedio di Caffa sul Mar Nero. La base commerciale genovese fu assalita dai Tartari  e praticamente impestata, perché furono catapultati dei cadaveri di appestati nella città. I Genovesi  fuggitivi, ignari di aver già contratto il morbo, portarono l’epidemia in Europa. Sono morte il 60% delle persone. In quei decenni, a causa dell’elevatissima mortalità,  vennero a mancare professionalità, capacità, strutture.

Nel ‘400 la  Grande Strada di Lombardia venne utilizzata sempre più raramente, anche perché nuovi tragitti commerciali furono aperti, primo tra tutti la strada bassa della valle dello Scrivia.

 

Mauro si congeda invitandoci a osservare il territorio e tutto quello che ci circonda con curiosità e occhi nuovi, perché per aver motivo di interessi non bisogna andar tanto distante, bisogna semplicemente guardare con attenzione. Ci salutiamo con la promessa di un nuovo incontro e con il mio augurio di  trovare la persona giusta a cui affidare il frutto  del suo lavoro, affinché le testimonianze lasciate da chi ci ha preceduto possano diventare una preziosa eredità  per le  generazioni future.

  Maurizio Adami

 Pro Loco Torriglia ringrazia:

- il  Signor Casale Mauro per la consulenza storica e per le foto relative   alla struttura di Donetta gentilmente messe a disposizione

-l’Azienda B&B Digital Mapping che ha riprodotto la piantina della Fortezza di Donetta