Pro Loco Torriglia ha incontrato il Dottor Federici Antonio, Direttore del Parco Naturale Regionale dell’Antola ed esperto molto preparato, per conoscere se la presenza del lupo nei nostri territori rappresenti un reale pericolo.
Il Dottor Federici sottolinea come la presenza di questo canide nei nostri territori sia il frutto di un’espansione naturale. Il lupo, ridotto a pochi esemplari nei boschi appenninici del Centro e Sud d’Italia fino agli anni ’70 del secolo scorso, grazie a situazioni ambientali favorevoli, ha avuto modo di riespandersi e tornare a popolare l’areale appenninico. Seguendo la dorsale degli Appennini, il lupo si è spinto a Nord per giungere poi dieci anni dopo a popolare i nostri monti che per la loro conformazione sono un ideale corridoio naturale che ha permesso al lupo di arrivare fino alla catena delle Alpi occidentali. Le voci che sia stato l’Ente Parco ad immettere esemplari di lupo sono totalmente prive di fondamento. Le analisi genetiche, eseguite nel corso degli ultimi decenni sugli esemplari rinvenuti morti e sui campioni di pelo, urina ed escrementi hanno rivelato che la ricolonizzazione dell’arco alpino italiano, francese e svizzero è opera del lupo appenninico.
Il lupo – prosegue ancora Federici – è per sua natura schivo e quindi evita l’incontro con l’uomo; chi parla di attacchi portati deliberatamente da questo animale, dimostra solo di non averne una reale conoscenza. Un effettivo pericolo invece è rappresentato dalla presenza di cani inselvatichiti che singolarmente o in branco possono dimostrarsi aggressivi nei confronti dell’essere umano che non temono come invece l’animale selvatico. L’opinione pubblica non manifesta attenzione a questo fenomeno, nonostante sia stato stimato un rapporto di un lupo per duemila (!) cani randagi e inselvatichiti.
Il “Canis lupus” – continua il Direttore del Parco – riveste un ruolo fondamentale nel riequilibrio faunistico territoriale tra le diverse specie preda, perché occupa il vertice della piramide della catena alimentare. Il lupo infatti tenderà a cibarsi ad esempio di daini piuttosto che caprioli se i primi sono presenti in numero maggiore nella sua area di caccia. Nella sua attività, individua sempre gli esemplari più deboli (vecchi, malati, giovani) contribuendo così alla selezione delle specie preda. Cibandosi anche di carcasse, svolge poi un’attività fondamentale di pulizia dei nostri boschi.
Per il suo ruolo predatorio, questo canide selvatico è il principale antagonista delle attività antropiche che condividono il suo ambiente e in special modo la caccia e l’allevamento. E’ bene ricordare a questo proposito che l’attività venatoria all’interno del Parco è vietata, ma al di fuori del territorio protetto sono possibili caccie di selezione nei riguardi degli ungulati nobili.
La salvaguardia degli interessi degli allevatori – spiega il Dottor Federici – è uno degli obiettivi del Progetto Regionale denominato Progetto Lupo sviluppato nell’arco temporale tra il 2007 a tutto il 2014. Coordinato dalla Regione Liguria è stato svolto per la parte amministrativa dall’Ente Parco dell’Antola, mentre la supervisione scientifica è stata affidata all’Università di Pavia. Il progetto ha compreso una fase di monitoraggio della presenza del lupo sull’intero territorio ligure e una di informazione e prevenzione dei danni da predazione in favore degli allevatori. Il monitoraggio ha previsto la suddivisione del territorio in esame in tanti percorsi chiamati transetti e l’osservazione diretta e indiretta della presenza del lupo appenninico. Complessivamente sono stati percorsi oltre mille chilometri di sentieri ogni anno. L’osservazione indiretta va intesa nel reperimento di orme e nella raccolta delle fatte lasciate dagli esemplari di passaggio. Le fatte poi sono state sottoposte dall’Istituto Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ad analisi genetiche per individuare gli esemplari appartenenti agli stessi ceppi e rilevarne i movimenti. Tutti i dati raccolti sono stati scambiati con studiosi e addetti delle regioni Piemonte,replicas relojes Lombardia ed Emilia Romagna nell’ottica di una cooperazione interregionale.
L’informazione e l’azione di prevenzione in favore degli allevamenti maggiormente a rischio hanno portato a un drastico abbassamento dei casi di predazione di bestiame dal 2007 ad oggi. Agli allevatori sono state fornite adeguate istruzioni per adeguare il tipo di pascolo e difendersi dalla presenza dei lupi, dimostrando che la coesistenza era possibile. Il Progetto ha fornito gratuitamente recinti anti lupo e specifici dissuasori per sperimentarne l’uso. In caso di predazione risulta comunque fondamentale poter risarcire il danno all’allevatore. Fino a qualche anno fa provvedevano le Province, ma attualmente a causa della carenza di fondi al momento il risarcimento è sospeso. Ad oggi è fermo in Regione un disegno di legge che prevede un apposito fondo da destinare a risarcimento dei danni subiti dagli allevatori rimborsando il valore commerciale di esemplari comunque predati, sia da cani inselvatichiti sia da lupi; questo semplificherebbe le modalità di accertamento del danno in quanto non sarebbe più necessario stabilire se l’uccisione sia stata determinata da cane o da lupo. I cani inselvatichiti non solo costituiscono un pericolo per l’uomo ma sono responsabili della predazione di bestiame in quantità doppia rispetto a un attacco di lupi. I lupi infatti oltre a selezionare le prede, eliminano solo quelle sufficienti a soddisfare le loro effettive necessità.
A conclusione dell’ incontro, il Dottor Federici si augura che la Comunità Europea possa mettere a disposizione i fondi necessari al proseguimento del Progetto Lupo.